domenica 16 febbraio 2014

Ricerca/ Le fanfaluche sull'obesità fanno male

Per il mondo del dietismo definire l'obesità una malattia potrebbe avere conseguenze tutt'altro che positive. Ma per HAES? I risultati di un nuovo studio



Che l'obesità sia un fattore di rischio e non una malattia lo sappiamo già, ma sui media italiani e internazionali si fa una gran fatica a cogliere la differenza. Il problema, dice un studio statunitense, è che definire l'obesità una patologia diminuisce le possibilità di scelta dell'individuo. E nuoce alla sua salute.

Secondo il rapporto pubblicato su Psychological Science, pubblicazione di riferimento per l'omonima associazione professionale statunitense, i messaggi che descrivono l'obesità come patologia possono disgregare comportamenti salutari di cicci e cicce.

Le evidenze di uno studio condotto di recente secondo gli autori parlano chiaro: gli obesi esposti al messaggio dell'obesità come malattia sembravano meno preoccupati del proprio peso e della propria alimentazione, due condizioni che secondo gli autori potrebbero portare a scelte alimentari dannose.

Le ricercatrici autrici dello studio, condotto presso l'Università di Richmond e quella del Minnesota, hanno intrapreso questa ricerca dopoché l'American Medical Association nel giugno dello scorso anno ha dichiarato ufficialmente che l'obesità sia una malattia. Una dichiarazione che pur contrastando con il fact sheet dell'OMS e le ricerche in materia, secondo AMA avrebbe consentito di prendere di mira in modo più efficace quella che viene definita "epidemia".

"Dal momento che l'obesità viene percepito come un problema di salute pubblico cruciale - dicono le ricercatrici - una più profonda conoscenza dell'impatto del messaggio l'obesità è una malattia può avere implicazioni rilevanti sia a livello individuale che di politiche pubbliche. Gli esperti hanno dibattuto i meriti e le criticità della posizione dell'AMA e noi abbiamo voluto contribuire a quella discussione focalizzandoci sulle ripercussioni psicologiche".

Sono così stati reclutati 700 partecipanti per una rilevazione spalmata su tre diverse prove. Alcuni hanno letto articoli sulla salute e il peso e hanno poi risposto ad un questionario. Altri hanno riempito il questionario dopo aver letto dell'obesità descritta come malattia, altri ancora hanno letto articoli che chiarivano perché l'obesità non è una malattia. A tutti i partecipanti sono state prese le misure corporee per dividerli in normopeso e obesi con il BMI, il vetusto standard di riferimento ancora ampiamente usato.

I risultati dicono che i partecipanti obesi che hanno letto dell'obesità come malattia erano meno interessati ad una alimentazione salutaria e in generale assai meno preoccupati dell'aspetto peso della propria forma degli altri due gruppi. E questo, evidentemente, preoccupa le ricercatrici.

Dal nostro punto di vista, però, la situazione è completamente ribaltata: il gruppo di coloro che si preoccupa meno della propria forma è risultato anche quello che è maggiormente soddisfatto di se stesso. Ed è anche emerso, hanno spiegato le scienziate coinvolte, che l'individuo tende a cambiare la propria visione di sé in relazione ai messaggi sull'obesità che gli arrivano dall'esterno. Il che evidentemente conferma appieno l'approccio HAES, ancora una volta, fondato su un ritrovato amore verso se stessi nella propria interezza, da cui consegua un approccio gioioso alla vita fatto anche di movimento (muoversi per conoscere il proprio corpo, muoversi per star bene) e su un approccio equilibrato alla salute, fondato non sul misurare il peso ma puntare, appunto, a star bene. Un approccio che rifiuta lo stigma anti-cicci e combatte la discriminazione.

Tornando allo studio, l'idea dei ricercatori, dunque, è che i vantaggi "operativi" del definire come malattia l'obesità potrebbero essere invalidati dall'effetto che questo ha sulla psicologia dell'individuo. Va da sé, evidentemente, che se la dichiarazione AMA è stata scelta con la speranza di migliorare le prestazioni cliniche a favore degli obesi, lo studio sembra indicare che non tutte le conseguenze siano state previste. E, in questo senso, le autrici di questo rapporto avvertono che saranno necessari nuovi studi.

Dal mio punto di vista, di blogger HAES, non posso che storcere la bocca dinanzi alla bolla che si è creata attorno ad una fanfaluca resa ufficiale da AMA. L'obesità non è una malattia. Punto. A cicci e cicce è una vita che si raccontano dabbenaggini, una vita che gli si rinfaccia senza alcuna base scientifica comportamenti, stili di vita, scelte personali e private. Che ora si voglia anche gestirne la psicologia raccontando bugie e mettendoci sopra il "visto" di un'associazione medica mi sembra l'apoteosi del paradosso. Se qualcosa ci renderà liberi dall'odio, di certo non saranno le frottole.
(fonte foto)

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