martedì 10 dicembre 2013

Lo psichiatra: l'obeso, poverino, è un depresso



Non so se il mio commento un po' tranchant apparirà mai in fondo a questa pagina, ma non ho potuto evitare di esternare il mio disappunto per l'ennesimo intervento all'italiana sull'obesità appena apparso su web. Riciccia, è proprio il caso di dirlo, il profilo dell'obeso ansioso e depresso, idee vecchie ma alla base dei più comuni fenomeni di discriminazione a cui sono sottoposti cicce e cicce. Il motivo è evidente, come si può vedere leggendo l'intervista: l'obesità è considerata una malattia e dunque l'obeso non è che un malato. Dell'individuo, della sua identità e della sua complessità, non c'è traccia. Figurarsi del suo possibile benessere rimandato eventualmente ad una peraltro improbabile perdita ponderale.

A parlare sulle pagine del Centro Medico Specialistico Orio è il dott. Ferdinando Pellegrino, psichiatra e psicoterapeuta. Ecco l'intervista:
Dottore, spesso nella cura dell’obesità l’aspetto psicologico viene trascurato. Quanto conta invece?
"Il rapporto con il cibo è legato alla natura dei rapporti affettivi primordiali; l’allattamento al seno, l’essere nutriti e curati dalle figure genitoriali, in primis dalla madre, costituisce la base della “nutrizione affettiva”. Si cresce sicuri e determinati quando le relazioni affettive primordiali sono state forti. Il senso di sicurezza dell’uomo (attaccamento sicuro) è infatti legato alla qualità delle cure che abbiamo ricevuto da piccoli e che continuamente rafforziamo grazie alle relazioni che costruiamo nel corso della vita. Nel cibo riponniamo quindi i nostri affetti, le ansie, le preoccupazioni, la gioia,la sofferenza, la rabbia... tutte emozioni che possono in qualasiasi momento rendere difficile e conflittuale il nostro rapporto con il cibo.
Per tali motivi gli aspetti psicologici nell’obesità fanno parte integrante del quadro clinico".

Ci sono disturbi psichici specifici associati all’obesità?
"Sicuramente l’ansia e la depressione sono disturbi che si riscontrano con maggiore frequenza nei soggetti obesi; tuttavia non è tanto la presenza di disturbi psichici che appare importante quanto la presenza di peculiari tratti di personalità (l’essere cioè fatti in un certo modo) che sono difficili da identificare e trattare. Ad esempio avere una personalità dipendente (dipendenza affettiva) può costituire un importante fattore che favorisce l’obesità e rende difficile un percorso nutrizionale appropriato".

Si può affermare un legame stretto tra mancanza di autostima e malattia dell’obesità?
“Certamente l’autostima è determinante. Non avere una buona base sicura ci espone al “lasciarsi andare”. La mancanza di autostima ci rende più vulnerabili, più indecisi, meno forti, si ha meno rispetto di se stessi e ciò comporta il mettere in essere comportamenti disfunzionali, come l’alimentazione scorretta. Viceversa il rafforzamento dell’autostima diventa importante per riprendere il controllo di se stessi e della propria vita”.

Capita spesso di vedere percorsi riusciti di dimagrimento associati a percorsi di psicoterapia. L’atteggiamento psicologico del paziente è la chiave per mantenere risultati duraturi?
"Sicuramente. La psicoterapia aiuta il rafforzamento della propria identità, dà sicurezza ed infonde coraggio. Il ritrovare se stessi, il proprio senso di identità, consente al soggetto di guardare al futuro con maggiore serenità e di affrontarlo con coraggio. La psicoterapia in questi casi è focalizzato al rafforzamento dell’autostima e dell’autoefficacia".
Credo sia da premiare il tentativo di integrare un approccio psicologico a tutto tondo nell'affrontare le difficoltà di quella parte di donne e uomini obesi che si sentono in difficoltà, in fondo viviamo in un paese in cui un obeso o una obesa che si rivolgano al proprio medico perché vogliono perdere peso si ritrovano con una dieta prestampata in mano. E mi sento anche di usare questa occasione per spezzare una lancia a favore della psicoterapia: parlare con un professionista capace, avere l'opportunità di farlo nonostante i costi spesso elevatissimi, è un'esperienza utile, interessante e intellettualmente gratificante. Dall'intervista, però, emerge come l'obesità sia ancora vista da molti esperti come malattia che delinea la personalità del soggetto, e che dunque l'individuo obeso è malato in quanto tale. Una visione che di certo inquadra un certo numero di obesi, come anche di normopeso, ma che non rende giustizia ai tanti che vivono serenamente la propria condizione fisica e la vivrebbero ancor meglio se non fossero circondati, assediati, dal pregiudizio.

Dalle parole del luminare intervistato, emerge un mondo oscuro di cicci che da piccoli sono stati scarsamente amati, che per questo hanno sviluppato dei disordini alimentari finendo per cadere vittime di ansia e depressione, dipendenza affettiva e mancanza di autostima. L'eventuale intervento di genetica, adenovirus, batteri intestinali e interruttori proteici non sembra trovare spazi.

Va da sé che l'attribuzione di questi tratti psicologici come tipici o maggioritari tra gli obesi rispetto ai normoforma pur espressi in buona fede di certo rappresenti ulteriore carburante alla discriminazione contro i ciccioni. Porta avanti l'idea di un individuo dimezzato incapace di decidere per sé, preda delle sue deficienze affettive. Descrive come perdente e malata l'identità dell'obeso rispetto a quella dei normopeso, e quell'insieme di fisicità, intimità, rapporti con gli altri è una complessità che viene ridotta ad una rispettosa ricettina di speranze terapeutiche.

Dispiace, e molto, vedere come nel 2013 possa ancora venire pubblicata qui da noi una intervista sull'approccio psicologico all'obesità che non prende in alcuna considerazione lo stigma sociale che pesa sugli obesi e sulle obese di questo paese. E che capovolge la realtà dell'esistenza: curare l'obesità per curare la psiche dell'obeso anziché comprendere la complessità dell'individuo e consentirgli di esprimersi alla pari nella società è una delle bestialità sociali che ci portiamo dietro da decenni, già ampiamente criticate in paesi più evoluti, dove la Size Acceptance è ormai al centro del dibattito dimensionale.
(update: i miei commenti in fondo all'intervista sono stati correttamente pubblicati, un grazie al personale che gestisce il sito per la correttezza intellettuale).

(fonte immagine)

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